I riflessi del Mito-Antigone di Sofocle
il 02/10/2022

“Un’Antigone scomposta e frammentata.
Il potere ha le sembianze di una macchina che tutto fagocita e stringe a sé; ed esso è protetto dalla fortezza delle parole che sanciscono ordine e giustizia. Una giustizia che luccica e scintilla e si erge fiera come un monolite sacro che sfida il cielo. Perché il potere ha bisogno di vertici, altezza e luce. La gente di Tebe è come la gente di tutti i mondi possibili: soggiogata da catene, tuttavia morbide e suadenti, non sa levare la propria voce con prontezza e deve toccare il fondo per fronteggiare l’autorità divenuta dispotica; e chi si ribella deve essere condannato. In questo dramma, antico e moderno e per questo universale, architettato con lucidità e maestria dal nostro Sofocle, c’è sempre spazio per ricostruire e far agire la vicenda di una donna che voleva spezzare le catene imposte dalla legge di stato. E, nel dipingere questo mio quadro, voglio immaginare su un piano parallelo le vicende reiterate all’infinito di Antigone, Ismene, Creonte ed Emone che si consumano sulla terra, mentre sotto, giù nell’Ade, Euridice nel suo doloroso silenzio cerca il figlio Emone, per riabbracciarlo; ed Emone cerca lei, la sua amata Antigone. La scenografia è dura e compatta: una piramide di metallo e catene indiscrete che si insinuano come serpenti, i personaggi sono sdoppiatie moltiplicati. Creonte, tiranno e dittatore, racchiude i simboli delle egemonie che hanno reso drammatica, vile e vergognosa la nostra storia di uomini; Il coro tragico, infine, odora di popolo schiavo e deportato, prima illuso e poi costretto, manipolato e sempre schiacciato, in uno spazio scenico che sfuma nel ricordo della nebbia di Auschwitz; mentre Ade, paziente, aspetta le ombre di questi uomini vincitori e vinti, nessuno escluso; e sulla terra solo orme vuote, scarpe abbandonate, che restano in silenzio a testimoniare la bellezza e la tragedia del destino umano.”